Alla VIEW Conference di Torino abbiamo incontrato e conosciuto Mark Osborne il regista del film sul Piccolo Principe. Come vi avevamo annunciato nel precedente articolo sulle sfide che la realizzazione del film ha comportato (che potete leggere QUI), ecco la nostra intervista con qualche curiosità e retroscena in più!
• Quanto è stato difficile riuscire a portare sul grande schermo un libro così amato da tutto il mondo come il Piccolo Principe?
Ci sono voluti 9 mesi di studi intensivi per cercare un modo di proteggere il libro. Il libro è un’entità delicata, preziosa per cui dovevo e volevo portare il massimo rispetto per l’autore e per il libro.
Ho cercato di portare il film, e quindi il libro, verso un nuovo pubblico; un pubblico che può aver letto il libro, che non l’ha mai letto o che non lo ricorda più. Ho studiato nel vero senso della parola le reazioni a questo libro nelle diverse culture, ne sono diventato quasi un esperto pur di capire qual è il fil rouge presente in tutte le culture. Con stupore, ho scoperto che questo elemento comune non è altro che il rapporto umano tra le persone!
Per cui amicizia, amore, e anche il tema della perdita sono tutti temi fondamentali presenti nelle culture che ho studiato e nel libro stesso.
Il momento cruciale è stato quando la famiglia di Exupéry ha applaudito il mio progetto approvandolo, piangevano e ridevano allo stesso tempo ringraziandomi per esser riuscito davvero a catturare il cuore e lo spirito del libro.
Ho presentato il progetto a chiunque potesse essere interessato a realizzarlo insieme a me, ed è successo diverse volte che all’inizio le persone erano a braccia conserte, in segno di chiusura, diffidenti, ma alla fine si rivelavano sorpresi, convinti e contenti di questo progetto. Sapevo dal principio che non tutti avrebbero approvato, ma non era questo il mio intento. Non intendevo far piacere il mio progetto a tutti perché se si cerca di far contenti tutti, si finisce col non far contento nessuno.
Un’ultima cosa: la famiglia mi ha raccontato che, quando Exupéry si era trasferito da Parigi a New York per scrivere il libro, aveva l’idea di voler cambiare il mondo. È andato a Hollywood perché aveva intenzione di realizzare un film per cercare di cambiare le cose. Era triste per lo stato delle cose di quel periodo soprattutto per la guerra, e aveva il forte desiderio di fare la differenza.
Quindi è questa stessa idea che mi ha incoraggiato perché in un qualche modo sono riuscito a chiudere il cerchio, ho realizzato questo film come avrebbe desiderato Exupéry, con l‘intento di cambiare il mondo.
• Sono presenti due tecniche in questo film, una di queste è lo Stop Motion, come ha iniziato a relazionassi con questo tipo di tecnica così particolare?
Per quanto riguarda la tecnica dello Stop Motion sono stato molto ispirato all’inizio dal corto che si chiama Creature Comfort dà l’idea che si possa fare qualcosa di impressionistico è molto creativo e divertente. Un altro film che ho amato si chiama Ballance, che è davvero un fiore all’occhiello, intenso, particolare, se qualcuno non lo ha mai visto lo deve assolutamente vedere, ve lo consiglio!
• Qual è il segreto del successo de Il Piccolo Principe, secondo lei?
Per farla semplice è la magia del libro, il vero segreto del suo successo. È un libro che invita il lettore ad entrare e immergersi nella storia e lo riporta alla sua infanzia. Quando l’ho riletto da adulto ho riconosciuto molti tratti di me stesso che non mi piacevano, e questo ha portato a farmi molte domande.
La ragazzina nel film ha la stessa esperienza con il libro, perché non lo capisce completamente ma inizia a farsi delle domande. L’aviatore è quasi una figura genitoriale, è una guida ed è anche una sorta di genitore che legge questa storia per lei, così come i genitori oggi la possono leggere ai propri figli.
Alla fine il segreto di questo successo sono le piccole cose che ci rendono umani. È un’esperienza emotiva che ho cercato di portare anche nel mio film.
• Cosa lo ha affascinato di più del libro?
Alla prima lettura ha avuto un enorme impatto su di me. Era un periodo in cui avevo problemi a trovare la mia identità come artista e quindi prima di tutto mi ha portato alla mia infanzia e a un mondo in cui potevo disegnare senza preoccuparmi della reazione degli adulti. Non mi preoccupava se gli adulti avrebbero capito o meno quello che disegnavo e in secondo luogo era un legame con l’amore della mia vita nel momento in cui ci siamo dovuti separare.
L’elemento più profondo è diviso in due parti del libro, e questo l’ho scoperto quando lo stavo studiando per fare il film.
L’inizio è proprio la dedica del libro (che è dedicato a Léon Werth un amico dell’autore), dove dice “questo libro lo dedico al mio amico Léon Werth, no, lo dedico al bambino che era una volta“; quindi questa dedica mi ha colpito molto e mi ha ispirato per fare il film.
Un altro momento importante è la fine del libro, ossia quando l’aviatore esprime la sua fede: che ci sia un Piccolo Principe da qualche parte e dice che il motivo per cui racconta questa storia è perché spera che le persone riescano a riconoscere il Piccolo Principe nel mondo. L’aviatore non ha prove della fine del Piccolo Principe e quindi si tratta di un finale aperto.
L’enigma del libro e del film è che spero ispirerà un dialogo tra le persone, e quando usciranno dal cinema inizieranno a parlarne e si faranno delle domande.
• Riallacciandoci alla dedica a Léon Werth, il libro è spesso scambiato per essere solo per bambini, quando in
realtà ha un significato molto più profondo che riguarda anche tutte quante le persone. Per cui volevamo sapere, quanto il film si rivolge ai bambini, quanto ai grandi che si ricordano di essere stati bambini, e anche quanto a quelli che lo hanno dimenticato?
Penso veramente che il Piccolo Principe sia un libro in realtà per adulti, anche se si dice che è per bambini, ed è un motivo per cui è così popolare e famoso in tutto il mondo.
Riguardo tutto quello che faccio, ho detto numerose volte: io creo film per gli esseri umani, non necessariamente per adulti o bambini. Spesso nel mondo di Hollywood purtroppo questo viene frainteso, e si pensa che l’animazione sia soltanto per bambini, mentre non è così.
Uno dei motivi per cui adoro Miyazaki è proprio questo, perché anche lui fa dei film per gli esseri umani in generale.
Quindi spero che alla fine del film succeda la stessa cosa che talvolta succede a casa, quando la mamma legge il libro del Piccolo Principe al figlio e alla fine il figlio la guarda e le chiede “Mamma, ma perché stai piangendo?“.
Mi hanno raccontato che è successo anche alla fine del film! Nelle conversazioni in macchina, di ritorno dal cinema, sono iniziate discussioni ispirate proprio dal Piccolo Principe; e questo mi riempie d’orgoglio.
• Ho apprezzato molto il fatto che sia stato inserito un personaggio femminile all’interno della storia, quando quella originale non ne aveva uno importante. Quindi mi chiedo, tornando al mondo dell’animazione, e visto che all’interno della ViewConference c’è un panel dedicato alle donne, quali sono le colleghe che stima maggiormente e quali sono le donne che preferisce nel mondo dell’animazione audiovisiva?
Ho lavorato molto spesso con delle colleghe e a dir la verità per questo progetto c’erano nella mia squadra molte più donne di quanto avrei mai potuto immaginare. Tutto è partito da mia figlia, perché desideravo molto creare un personaggio che le fosse fonte di ispirazione, in più mi sono reso conto che i bambini fino ad una certa età non pensano in termini di genere, quindi ho capito quanto non era necessaria la presenza di un personaggio principale maschile per fare in modo che questo film piaccia anche ai bambini.
Ora mia figlia ha 17 anni e a dir la verità vuole anche lei diventare una regista nel campo dell’animazione; per cui adesso ho un interesse di parte nel promuovere le donne nel campo dell’animazione. Mi rende conto che può essere difficile, in quanto il mondo dell’animazione rischia quasi di essere un club di soli uomini.
Per quanto riguarda le colleghe che stimo molto ho già citato la produttrice del film Jinko che si è alzata in sala, e anche D. Moore che la considero piena di talento. In più ci sono state numerose colleghe nel team degli animatori che hanno veramente portato degli standard altissimi in questo progetto.
• Come ha scelto la colonna sonora?
All’inizio non ero sicuro, usavo una marea di canzoni contemporanee durante il film, e nella casa dell’aviatore era sempre presente una musica di ispirazione francese perché volevo ricreare nel film qualcosa che risuonasse francese e che fosse comunque diverso da qualunque altra cosa si fosse mai sentita.
Così ho parlato con Hans Zimmer con cui avevo già lavorato per Kung Fu Panda e in una delle prime riunioni mi ha detto “Cosa hai intenzione di fare in questo film?” e una volta avergli raccontato le mie intenzioni, circa 20 minuti dopo, era totalmente convinto del progetto e fumando una sigaretta dietro l’altra si concentrava al suo lavoro.
Ha coinvolto anche il suo amico Richard Harvey per creare la colonna sonora e insieme hanno avuto un’idea geniale: quella di coinvolgere una cantante francese di nome Camille, che ha una voce bellissima che ricorre durante tutto il film accompagnando anche i cambiamenti d’animo della ragazzina. Insieme hanno creato delle canzoni emotive ed emozionanti. È stata un’esperienza creativa straordinaria per me, soprattutto nei periodi più stressanti; alla fine, quando hanno registrato alcune delle canzoni a Londra, ero veramente in lacrime. Ecco perché ritengo che il contributo di Hans sia stato fondamentale.
• Ho letto il libro di recente e nella prefazione del libro c’è una frase che dice “i bambini conoscono molte cose della solitudine”. Penso che la solitudine sia uno dei temi principali e volevo sapere: come l’avete trattato nel film?
La solitudine è uno dei temi principali del film, la bambina soffre di solitudine anche se non lo capisce. Per esempio quando i genitori vanno a lavorare è un qualcosa con cui tutti possiamo relazionarci, abbiamo sperimentato tutti dei momenti di solitudine. I miei genitori si sono separati, hanno divorziato quindi io stesso ho dovuto aver a che fare con l’origine della solitudine di quando ero bambino.
Per quanto riguarda il film l’abbiamo inserito proprio come elemento che creasse un momento di apertura, affinché l’aviatore potesse inserirsi nella vita della ragazzina e diventare suo amico. Per cui non c’è un momento in cui è stato affrontato esplicitamente il tema della solitudine nel film, ma è comunque uno dei temi principali.
Ci tengo a dire che comunque non bisogna per forza aver letto o leggere il libro prima di vedere questo film! È molto importante capire che non c’è un modo giusto con cui approcciarsi al film. Ho incontrato delle persone che avevano dei tatuaggi tratti dal libro, quindi per loro era una cosa molto seria che faceva profondamente parte della loro vita, ma questo film è veramente per ogni livello di esperienza con il libro. Quindi chi lo ha letto 10 anni fa, ieri, oggi o chi non lo ha mai letto, può andare a vedere il film.
• Tornando alle tecniche utilizzate nella realizzazione di questo film, ormai oggi assistiamo alla supremazia del CGI dove i personaggi si somigliano un po’ tutti. Da dove viene la scelta di utilizzare prevalentemente questa tecnica?
Mi si è un po’ spezzato il cuore a sentire che i personaggi sembrano quelli di altri film… Ci tengo a dire che ci son dei limiti tecnici obbiettivi nel CGI.
Jorge Gutierrez, con “The Book of Life” ha fatto un lavoro meraviglioso, ha rotto con tutti gli standard!
Ma quello che abbiamo cercato di fare noi è di creare dei personaggi credibili con cui ci si può relazionare e che soprattutto siano guidati dalle emozioni. Non dall’azione, non dagli scherzi o dalle battute, ma dalle emozioni. Per cui abbiamo cercato di fare un film ispirato più al lavoro di Miyazaki che non a qualunque altro film d’animazione.
Ad una prima occhiata può sembrare simile ad altri film, ma se si analizza per esempio la scala dei colori si nota che l’abbiamo tenuta sulla base di colori non saturi, per cui abbiamo cercato di mantenere questo grigio di base perché il mondo in cui vive la ragazzina è noioso, piatto. Questo anche per contrastare poi, in modo anche più evidente, la parte in stop-motion che invece rappresenta l’ispirazione e la creatività. È un po’ come ha detto Kurinsky nella sua conferenza sui colori. Nel suo film inizialmente hanno cercato di ottenere una tonalità grigia, neutra, noiosa per il mondo umano; che però non sono riusciti a mantenere nel film perché hanno dovuto renderlo un po’ più divertente per i bambini, un po’ più “normale”.
Anche lì mi si è spezzato il cuore a sentire che hanno dovuto applicare questo cambiamento un po’ forzato. Spero comunque che guardando l’intero film e non soltanto le parti del trailer, si colga questa scelta di contrastare i colori soprattutto tra la parte in stop-motion e la parte in CGI.
In conclusione non è importante la tecnica con cui si realizza un film d’animazione, ai bambini interessa la storia.
• Quali sono le differenze e le difficoltà tra adattamento di un libro e un progetto originale, soprattutto nella realizzazione dei personaggi?
Una delle cose fantastiche nel lavorare ad esempio a Kung Fu Panda, era che avevano moltissime fonti di ispirazione e partivamo da zero. Per cui è stata un’esperienza totalmente diversa rispetto a questa del Piccolo Principe che è stata molto difficile anche a causa delle molte pressioni da parte dello studio che desiderava un grande successo per questo film.
Quindi abbiamo cercato di fare ciò che era meglio per il film partendo dalle basi più che solide del libro. Ovviamente lavorare con un adattamento è una sfida terrificante , però ci sono dei benefici, ossia avere qualcosa da cui partire. Nessuna delle due tipologie di lavoro è semplice e se dovessi scegliere di nuovo non saprei dire quale delle due preferisco, però sono comunque due modi di lavorare diversi tra loro e che io amo.
• Il libro si rivolge sia ai bimbi che agli adulti, quanto il Mark Osborne bimbo ha agito per la creazione del film, quanto il suo Piccolo principe ha preso il sopravvento sul suo lato adulto?
Spesso mi viene chiesto “E’ tua madre quella che è rappresentata nel film?” ed io rispondo sempre “No, quello sono io!”
Per cui ogni giorno cerco di essere un bravo padre, di essere presente per i miei bambini, e per me è stata quasi una terapia questo film. Ha portato alla luce dei problemi derivanti dalla mia infanzia come appunto la solitudine o il divorzio dei miei genitori. È stata un’opportunità molto più utile di quanto potessi immaginare all’inizio e mi sono reso conto di avere ancora questi problemi, queste ansie che nel film vengono rappresentate dalla bambina le ho ancora adesso. Sul significato di essere un adulto, lavorare, essere responsabile… Per cui questo film e il Piccolo Principe mi aiutano a definire ogni giorno cosa significa essere un adulto. Cerco di mantenere il Piccolo Principe vivo dentro di me, un po’ come fa l’aviatore.
Il personaggio dell’aviatore è rappresentato magnificamente nel film! Quindi diciamo che sto ancora lavorando e lavoro ogni giorno sul mio lato adulto e sul mio Piccolo Principe interiore.
• Il film offre una versione nostalgica e idilliaca del trascorrere del tempo all’aperto che è molto diversa dalla visione del giorno d’oggi, del tempo dettato dalla tecnologia. Vuole dettare una sorta di ripensamento sulla direzione che si sta prendendo?
Ho cercato di evidenziare anche la mia lotta quotidiana con la tecnologia, col cercare di essere presente con i bambini, farli uscire, allontanarli dagli schermi del computer, ecc.
Ho voluto dare alla bambina nel film l’opportunità di allontanarsi dal mondo “normale” e di passare del tempo con l’aviatore.
Non ho inserito apposta telefoni, computer, schermi perché volevo ci fosse questa sensazione alla fine: di voler passare del tempo con i propri bambini. Dopo aver visto questo film dopo voglio soltanto stare con i miei figli.
Ad uno dei primi test screening c’è stata anche una reazione bellissima di una ragazzina che ha detto: “Anche io voglio un signore come lui vicino di casa per poterci andare a parlare!”
Sarebbe meraviglioso che come risultato i bambini volessero passare del tempo con i nonni, per esempio, invece che con il proprio telefono. In diverse culture questo è più o meno presente, però in generale un risultato magnifico sarebbe spegnere il proprio cellulare e andare a passare il tempo con le persone care… probabilmente sono solo un vecchio pazzo!