Il potente Thor ritorna sul grande schermo con un film che accontenta grandi e piccini… ma non tutti i fan Marvel.
Dopo le critiche sui primi due capitoli della saga dedicata a Thor, il Dio del Tuono, i Marvel Studios si presentano al cinema con la loro personale reinterpretazione del Ragnarok norreno, confezionando un lavoro sicuramente differente dai suoi predecessori, ma che non riesce a sfruttare a pieno il proprio potenziale.
Sin dall’apertura si nota il distacco dai capitoli precedenti: al classico prologo di Odino narratore del passato, viene preferito un Thor intento a fingersi prigioniero di Sutur per carpire informazioni riguardanti il suo piano di distruzione di Asgard. Da qui, il Dio del Tuono ricaverà anche un’informazione inattesa sullo stesso Odino. Il film sembra decollare quando Thor finalmente decide di chiudere con la farsa, sfoggiando tutta la sua maestria nel combattimento e nella padronanza del suo fidato Mjolnir – illusione che dura giusto il tempo dell’arrivo del titolo del film.
Si torna a casa
Durante il ritorno a casa, il ritmo del film ritorna su quel leggero filo di attesa di decollo che puntualmente, nonostante i colpi di scena, non arriva mai. Si passa da Asgard, a New York, alla Norvegia (con tanto di fausto incontro di una rediviva Hela) allo spazio senza riuscire a gustarsi davvero le scene, che si susseguono con balzi veloci. Questa celerità è parzialmente giustificata durante l’incontro tra Thor e il Dottor Strange (il quale vive nel Sancta Sanctorum di New York, che si trova al numero 177A di Bleecker Street. Un riferimento al numero 221B di Baker Street che gli amanti della BBC apprezzeranno, poiché Benedict Cumberbatch è diventato celebre proprio grazie al suo ruolo nella serie Sherlock).
Ma tutto porta solo al pericoloso arrivo della Dea della Morte sulla natia Asgard e all’umiliazione dell’armata più potente dell’universo in una sequenza simil-videogame.
…Ma il nostro eroe?
Sbattuto all’altro capo del cosmo sul pianeta-discarica Sakaar – ennesima rielaborazione maldestra di una saga, quella di Planet Hulk – che sta per colpirci. Neppure ora, nonostante un grandioso scontro gladiatorio tra Thor e Hulk e l’ingresso in scena di personaggi come Gran Maestro e Valkyrie, il film riesce a esplodere, ancora vittima di un’ironia eccessiva e a volte superflua che spesso oscura scenette geniali e degne di lode che ci accompagneranno fino alla fine, quando Thor dovrà ricordarsi chi lui sia.
Il film nasceva con potenzialità grandiose grazie alla saga fumettistica, al mito norreno del Ragnarok e all’unione con la saga di Planet Hulk. Per non parlare del cast abile, preparato e arricchito da attori del calibro di Karl Urban, Kate Blanchett e Jeff Goldblum, che avevano la possibilità di mostrarci la piena maturazione dei personaggi principali.
Tutte queste potenzialità però vengono solamente intraviste: colpa degli sceneggiatori, dello stesso regista e del protagonista maschile principale, che hanno voluto puntare tutto sull’ironia e sulle battute in pieno stile Guardiani della Galassia, creando un prodotto sì in linea con gli ormai canonici standard dei Marvel Studios, ma tiepido e incompleto.
La trama e la profondità dell’opera si perdono del tutto in un prodotto capace di intrattenere al cinema solo grazie a quella speranza illusoria che prima o poi esso possa decollare davvero. Un film da sufficienza tirata per le masse, deludente per chi aveva amato o era riuscito ad apprezzare i capitoli precedenti di questa saga. Un film ignorante, per usare un termine coniato nella sala proiezioni. Ma un film che funge solo da collegamento tra Age of Ultron e il prossimo Infinity War. Un vero peccato di arroganza e poca lungimiranza.
Leo e Lele