Vi siete mai chiesti come nasce un cattivo delle fiabe?
James Hook, il pirata che navigò in cielo di Mario Petillo
racconta la vita tormentata di un pirata che voleva solo crescere.
James Hook, il pirata che navigò in cielo è il primo libro pubblicato da Mario Petillo, storyteller e sceneggiatore. L’autore ha lavorato per dieci anni come giornalista nel settore dei videogiochi, del cinema e del calcio. Attualmente lavora in un’agenzia di comunicazione e ricopre il ruolo di ufficio stampa e social media manager per numerosi brand internazionali.
Una cosa che l’ha sempre caratterizzato è l’amore per il personaggio di Capitan Uncino, e quest’anno ha pubblicato per Scatole Parlanti la storia che James meritava di avere. Il suo unico intento era riabilitare il personaggio agli occhi del pubblico giustificando la sua ossessione per Peter Pan. E l’ha fatto con tutta l’accuratezza possibile: nel suo romanzo compaiono diversi personaggi (briganti, banditi e pirati), le cui vite e azioni sono storicamente documentate. Petillo si è recato personalmente a Crowthorne per una settimana, dove il sindaco ha messo a sua disposizione dei libri che raccontavano la storia della città. Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo del contesto storico ideale per la nascita di James Hook, che corrisponde alla nascita della figura del pirata. Il senso di realismo storico che l’autore ci offre è in netto contrasto con l’Isola che non C’è e tutto il suo ecosistema: il regno di Anna Stuart non assomiglia per niente a un’Isola popolata da indiani, cannibali, sirene e fate. Questa differenza abissale, questi mondi in cui James vive (quasi sempre costretto) mettono in risalto la vanagloria di Peter Pan, la presunzione di voler dilatare il tempo e restare giovane per sempre, libero dalle responsabilità. In questi mondi, Hook lascerà tutto se stesso: prima i suoi sogni, poi la sua giovinezza e, infine, la sua mano destra.
Questa storia non vuole imporsi come la verità assoluta; piuttosto, vuole regalare un punto di vista diverso, un punto di vista che non è mai stato preso in considerazione. Il punto di vista di chi desidera crescere, studiare, lavorare. Inoltre, solo perché la storia è raccontata dalla prospettiva di James, ciò non significa che sia uno dei buoni. James è – e resterà – cattivo. Il suo mentore, infatti, ci avvertirà dicendo: «Ricorda James, c’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è costretto a scoprirlo è un uomo fortunato. Noi questa fortuna non ce l’abbiamo: siamo pirati».
Tra le pagine troveremo un uomo accidioso, ossessionato, accecato dalla gloria: James adesso ha una storia, ma ciò non implica che avrà giustizia.
Tuttavia, leggendo ci chiederemo spesso che cosa sia meglio: se fare del male intenzionalmente, per vendetta e con delle intenzioni ben precise (come Hook) o per capriccio, senza accorgersene mai (come Peter Pan). E, soprattutto, ci chiederemo chi fra i due sia il più cattivo.
Seconda a destra e poi dritto fino al mattino
James M. Turner nasce nel 1700 a Crowthorne, una piccola città inglese abitata perlopiù da contadini. In quel periodo la città comincia a subire i saccheggiamenti dei briganti e dei banditi, cosa che lo porterà, da grande, a voler migliorare le condizioni in cui versa la popolazione.
James vive un’infanzia traumatica, costellata di perdite importanti e di atti violenza che gli inculcano la cattiveria e il desiderio di vendetta fin dalla tenera età. L’unico momento di conforto in ogni giornata gli viene offerto da un vecchio mendicante senza nome, che si fa chiamare Spugna, con cui il ragazzo fa subito amicizia.
Nel 1713, la sua sete di sapere lo porta a Eton, uno dei college più rinomati della Gran Bretagna, ricco di tradizioni austere che abbraccerà soltanto in parte. Qui James coltiva la sua passione per la poesia, per Shakespeare, per la cultura in generale. Ma l’anno dopo, un’ombra si presenta di notte, alla sua finestra, e lo costringe a prendere «la seconda a destra e poi dritto fino al mattino». Lui non ha idea di che cosa sia quella «seconda a destra», né di chi sia il suo rapitore.
Una volta arrivato all’Isola che non C’è, comincerà a interrogarsi con insistenza sulla figura di Peter Pan, sull’ecosistema dell’atollo, e cercherà un modo per fuggire.
Presto scopriremo, insieme a James, che Peter Pan non è affatto buono: «[…] dall’apparenza puerile e gioviale, nascondeva un carattere dispotico, arrogante, saccente: un tiranno che rapiva bambini dall’Inghilterra e li trascinava a Neverland, promettendo loro una madre, un qualcosa di naturale che Peter Pan aveva stabilito di poter loro donare per sua scelta, assurgendo alla forza e all’identità di creatore, che tutto toglie e tutto dona». Inoltre, Peter demolirà tutti i sogni di James – primo fra tutti quello di crescere – per compiacere il proprio ego.
Rinnegando gli ideali della strana creatura, il Capitano sarà costretto a invecchiare molto in fretta, a reinventare la sua vita e a diventare un pirata. Per colpa di Peter Pan, James si ritroverà ad affrontare terre inesplorate e, infine, a navigare in cielo.
«Io non li ho costretti: ho solo fornito loro un ideale diverso»
Questa frase di Hook racchiude i temi principali della storia: per prima cosa, la differenza tra James e Peter. Uncino non ha mai costretto i suoi uomini a seguirlo: attratti dall’idea dell’eterna giovinezza, si sono uniti a lui spontaneamente; Peter Pan, invece, ha costretto tutti i bimbi sperduti ad abbandonare la vita normale e a trasferirsi a Neverland per essere i suoi sudditi.
Adesso James rappresenta la crescita non soltanto per opposizione a Peter Pan, com’è spesso capitato di vedere nelle trasposizioni della storia. Adesso James ha l’opportunità di dimostrare che esistono bambini diversi, che crescono troppo in fretta, che amano lo studio e che hanno a cuore la difesa della loro comunità.
Anche l’autore non ci costringe a prendere le sue parole per oro colato: semplicemente, ci fa vedere il tutto da un’altra prospettiva, da quella di chi non è nato cattivo, ma lo è diventato.
Questa frase simboleggia anche la maturità del Capitano: la maturità tipica degli adulti, di chi ha una tale apertura mentale da non sentire il bisogno di costringere gli altri a fare alcunché. Questo è un tipo di maturità che Peter non possiederà mai, perché ha deciso di non crescere – come se non bastasse, ha deciso che determinate persone non dovessero più crescere insieme a lui.
Un altro tema importante è l’omicidio. Come ci hanno insegnato anche Agatha Christie e J.K. Rowling, l’omicidio è un atto che lacera l’anima e la corrompe per sempre. Il primo omicidio di James cambierà profondamente la sua visione del mondo, e segnerà il passaggio definitivo nel quale Peter Pan diventerà la sua ossessione, la vendetta la sua unica ragione di vita.
Tuttavia, al contrario di alcuni villain e della maggior parte dei suoi colleghi pirati, Hook non vuole macchiare la sua spada con il sangue di chiunque. A lui interessa soltanto il sangue di Peter Pan.
Nel romanzo è presente anche il tema dell’amore, e di come la sua mancanza possa renderci degli scellerati. Chi rifiuta o non conosce l’amore – di qualsiasi tipo e in qualsiasi forma – è destinato a vivere una vita all’insegna dell’odio e di sentimenti meschini.
Questo libro è per gli amanti di Peter Pan?
Sì e no. Sicuramente chi ama il racconto di Barrie, il lungometraggio della Disney o le altre trasposizioni cinematografiche di Peter Pan, sarà più attratto da questa storia. Tuttavia, anche chi non la apprezza molto o non la conosce bene può leggere James Hook, il pirata che navigò in cielo, perché i personaggi sono gli stessi del racconto originale, ma vengono nuovamente citati e descritti. Tutto ciò che serve, dunque, è la volontà di ascoltare un’altra campana, ormai arrugginita perché nessuno l’ha mai suonata.
Chi è molto affezionato al personaggio di Peter Pan e non è pronto a riconoscerne i difetti, forse storcerà il naso durante la lettura. Ma chi è più aperto a «un ideale diverso» rimarrà piacevolmente sorpreso dalla figura di Hook e, se prima gli era indifferente, ne resterà affascinato.
Quanto a me, non sono mai stata una grande ammiratrice di Peter Pan. Molte persone lo vedono come un cavaliere infantile che ti porta nel mondo dei sogni, un mondo perduto, dove nessuno deve stressarsi, lavorare e preoccuparsi delle cose dei grandi.
Io l’ho sempre considerato un bambino dispotico, egocentrico e bisognoso di attenzioni. E, si sa, i bambini spesso sono così. Ma lui non è come gli altri bambini, perché ha deciso di non crescere e di godersi i vantaggi dell’infanzia vita natural durante. Ha deciso di giustificare eternamente i suoi grossi difetti tramite questa scelta.
Davanti a un simile scenario, ho sempre visto Capitan Uncino come il simbolo della crescita e della responsabilità. Il simbolo del tempo a cui nessuno sopravvive, com’è giusto che sia.
Capitan Uncino è, quindi, l’equilibrio in un mondo innaturale, l’entropia in un paradiso inerte, che non per tutti è un paradiso. Perché non tutti vogliono restare bambini per sempre, non tutti vogliono vivere di sogni e fantasticherie.
In un mondo pieno di Peter Pan, di nostalgici che si rintanano con la fantasia in tempi che credevano migliori, la cosa più coraggiosa che si possa fare è diventare pirati. Diventare adulti. Perché arriva il giorno in cui le responsabilità chiamano, e non ci sono più scuse.
Peter Pan deve essere qualcuno da cui tornare ogni tanto, non un modello da imitare. L’Isola che non C’è deve essere un posto in cui rifugiarsi quando tutto va male, non una dimora fissa. Se ci fidiamo ciecamente di Peter, non abbiamo altro destino che quello di diventare dei bimbi sperduti: burattini nelle sue mani, ignari di tutto – specialmente delle cose brutte che succedono davanti ai nostri stessi occhi, e a nostro discapito.
Capitan Uncino tiene alto il vessillo di chi ragiona con la sua testa, di chi decide di andare a scuola, di farsi una cultura, di rendere il futuro migliore per la sua comunità. Di chi è stato strappato dai suoi sogni. Capitan Uncino è ogni persona che ha deciso di crescere, nonostante le ferite.
Hook ci viene presentato come un personaggio completo, capace di cambiare, di lasciarsi condizionare dai propri sentimenti, di sbagliare. Un personaggio che dapprima ci è molto vicino nella sua curiosità, nella sua innocenza, e che poi si allontana per imboccare la strada del male, dell’ossessione. Nonostante il suo graduale allontanamento dalla psicologia dei lettori, James è comunque capace di grattare le loro costole e arrivare al cuore, di creare un legame che, seppur scostante, non smette mai di essere empatico.
Questo libro è l’ideale per chi cerca l’approfondimento della psicologia e della storia di un personaggio, quando acquista storie di questo genere; ma non solo: è l’ideale per chi vuole innamorarsi ancora una volta della lingua italiana. Ci sono alcuni termini dal registro un po’ più sostenuto che non vengono mai utilizzati nei testi tradotti per via delle norme editoriali. Ne deriva che alcune traduzioni potrebbero risultare “piatte”. In James Hook, invece, ritroveremo delle parole che soltanto un autore italiano che scrive nella sua lingua madre potrebbe produrre.
Dov’è possibile acquistarlo?
James Hook, il pirata che navigò in cielo è disponibile sul sito di Scatole Parlanti a 15,00€, sul sito de La Feltrinelli a 12,75€ e su IBS a 12,75€.